“Image, intericonicité, répetition” di Angela Mengoni

Angela Mengoni sur Marco Dinoi, Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinemaImage, intericonicité, répetition

Angela Mengoni sur Marco Dinoi – Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema, Le Lettere, Florence 2008, 324 p.
ISBN 88-608-7118-2 et Clément Chéroux, Diplopie.
L’image photographique à l’ère des médias globalisés: essais sur le 11 septembre 2001, Le Point du Jour, [Cherbourg] 2009, 131 p.
ISBN 978-2-912132-61-1
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“Costruire il reale: tra storia, testimonianza e cinema” di Massimiliano Coviello

Lo spazio del reale nel cinema italiano contemporaneo
A cura di Riccardo Guerrini, Giacomo Tagliani, Francesco Zucconi
(Le Mani, Recco 2009; 144 pagine, brossura, ill. colori, 14 €)

Negli ultimi anni la critica cinematografica, ma lo stesso si potrebbe dire per quella letteraria, sembra aver riscoperto la propria fame di realtà. Questo di per sé non può che essere un bene, perché è una buona occasione per tornare a riflettere sul rapporto che il cinema stabilisce con il mondo e con i suoi significati, e soprattutto possiamo farlo alla luce degli eventi storici recenti.

E’ però vero che “il ritorno alla realtà” nel cinema italiano contemporaneo viene spesso declinato nelle forme brutali di un realismo tematico. In altre parole un film come Gomorra sarebbe realista perché parla di Camorra e in questo senso si potrebbe addirittura invocare un “ritorno al neorealismo”. Il limite evidente di una tale posizione, tutta interna ad un’idea di realismo ideologicamente impegnato, è di ignorare completamente il discorso formale del cinema, ossia le procedure e le tecniche con cui l’immagine cinematografica interroga, costruisce, decostruisce e ricompone il reale.

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“Lo spazio del reale nel cinema italiano contemporaneo” recensione di Simone Ghelli (FrameonLine)

Riccardo Guerini, Giacomo Tagliani, Francesco Zucconi (a cura di),
Lo spazio del reale nel cinema italiano contemporaneo

(Le Mani, Recco 2009; 144 pagine, brossura, ill. colori, 14 €)

Questa raccolta di saggi, che riflettono su quei film e quegli autori che hanno cercato (e stanno cercando) di restituirci un’immagine non riconciliata del nostro paese, è il frutto di un convegno, dal titolo omonimo, che si è svolto nel maggio del 2007 presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Siena. Il successo di critica e di pubblico di film come Gomorra (2008) e Il divo (2008) ha prepotentemente riportato alla ribalta il tema dell’impegno etico e politico del nostro cinema – per molti anni relegato nell’ombra a favore di un fondamentale disinteresse verso certe problematiche comuni – e reso più che mai attuale il tema di quel convegno, il cui titolo è stato preso in prestito da uno dei saggi in cui Maurizio Grande ha elaborato il concetto di “testualizzazione del reale”.

Parlare di contemporaneità in un paese come l’Italia, nel quale il presente vive da decenni sotto il ricatto del passato e dei suoi scheletri, significa gioco forza l’impossibilità di attenersi a facili periodizzazioni – dove e quando comincia la contemporaneità? – ma anche la volontà di non cadere in formule semplicistiche – il ritorno del neorealismo, ad esempio, che s’invoca da più parti ogni volta che appare qualche film di dichiarato impegno politico e civile.

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“Lo sguardo e l’evento – Marco Dinoi: il cinema, i media, l’impegno” di Mario Vetrone (WhipArt)

Parlare dell’opera di Marco Dinoi – scomparso poco più di una anno fa – non è soltanto un modo per ricordare una persona che molto ha dato alla teoria e alla pratica cinematografica, ma pure l’occasione, grossa, per parlare di questi ultimi anni di guerre vere e virtuali, sotto il profilo mediatico e non solo.
Per quanto concerne la parte teorica l’ultimo saggio di Dinoi, Lo sguardo e l’evento (edito nel 2008) rappresenta davvero un faro, offrendoci un ricco scandaglio delle tematiche attinenti all’interazione tra fatti di portata planetaria e relativo trattamento sul piano della comunicazione audiovisiva, trasvolando tra i media, la memoria, il cinema.

Parafrasando le righe introduttive dell’opera, dal “sembra vero” dell’anteprima di tutte le prime, la proiezione dei fratelli Lumiére del 1985, al “sembra un film” dell’attacco alle due torri, lo scarto cognitivo tra reale e immaginario sembra essere stato riformulato dall’attuale uso dei media, e non certo sulla via della piena comprensione. È proprio la ripetizione continua dell’impatto delle Twin Towers – priva di un’etica e di una dialettica del racconto – ad alimentare questa carenza sul piano cognitivo, e la produzione di quello che Dinoi chiama un “calco dell’evento”. L’esame parte dal pensiero di Jean Baudrillard, Serge Daney, Francis Fukuyama, Paul Virilio; vale a dire da tutti coloro che hanno riflettuto sul ruolo e l’uso dei media di massa nella nostra società, sul tipo di relazione scaturente dalla sovrapposizione tra immagini e reale. Un reale fagocitato dall’immagine, un futuro ri-mediato ad arte, un continuo attentato al senso: ecco la cifra prevalente della produzione giornalistica contemporanea e di certa fiction (intesa in senso lato), ecco l’attacco alla visione di un audience che si vuole imbrigliato, addomesticato.

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Close-up – Recensione del libro “Lo sguardo e l’evento” di Alessandro Izzi

Il territorio non è la mappa che lo rappresenta. La cartina geografica con la quale ci orientiamo quando viaggiamo, l’atlante stradale che consultiamo quando ci sentiamo persi hanno poco a che vedere con gli ambienti che attraversiamo. La silouette della Fontana di Trevi che campeggia nel fitto intrico di linee che rappresentano le strade di Roma ha un rapporto incerto con la fisicità delle sculture, con gli zampilli d’acqua e con le monetine gettate dai turisti coi loro incerti ed ambigui baluginii a pelo d’acqua.

È come per il pirata a caccia di un malloppo : sa bene che la X segnata sulla mappa indica il luogo in cui si trova il tesoro. Ma sa altrettanto bene che la X non è il tesoro. Perché la X non la puoi spendere, non la puoi usare, non la puoi nemmeno toccare dato che è poco più di uno sbaffo d’inchiostro su un pezzo di pergamena.

All’inizio della storia del cinema, quando i Lumiere puntavano la macchina da presa su signori che giocavano a carte fumando sigari, la differenza tra realtà ed immagine era un dato di fatto solo parzialmente posto in discussione. Secoli di dipinti e di sculture non avevano eliminato il muro che separava lo sguardo dall’evento. Ognuno sapeva bene che l’Infanta di Spagna era una persona viva e vera che parlava e che mangiava, che respirava e pensava. Se lei era l’evento, la tela era niente più che lo sguardo di Goya puntato su di lei.

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LIBRI DI CINEMA – Recensione di Carlo Valeri: “Lo sguardo e l’evento” di Marco Dinoi

Come riuscire a rapportare il cinema e le sue immagini con le pratiche riproduttive dei dispositivi massmediologici e fruitivi del mondo contemporaneo? E’ possibile resistere con un cinema autoriale esterno all’incessante propagazione della virtualità sempre più imperante? E dov’è il mondo in tutto questo? Nelle immagini riflesse o nei processi teorici e realizzativi sottesi a esse? Sono alcune delle domande che Marco Dinoi (1972-2008) si pone nel suo complesso, illuminante e (purtroppo) postumo libro, diviso in quattro parti, ognuna delle quali a sua volta contenente diversi paragrafi. Docente universitario, saggista, regista di cortometraggi e documentari, Dinoi riflette, con perizia filologica impressionante, sulla rappresentazione del mondo da parte dei media e sulle dinamiche concettuali, culturali e sociali che tali riproduzioni mettono in atto nell’immaginario collettivo e nel rapporto tra noi spettatori e il visibile.

La sua analisi prende così in esame testi filmici anche molto diversi tra loro, dalle manipolazioni estetiche di Orson Welles, al documentarismo rarefatto di Werner Herzog, dalle sperimentazioni cromatiche di Kitano ed Ejzenstejin, all’acuta riflessione su un film precognitivo qual è il Fight Club di David Fincher (del quale mette in relazione molto acutamente la schizofrenia del protagonista con la creazione di un Doppio che è sì liberazione pulsionale dell’Io, ma anche e soprattutto creazione di un mondo fittizio e fantasioso che a sua volta si fa esso stesso autonomo).

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Appunti per un cinema dell’Apocalisse di Dimitri Chimenti

Se per filosofia intendiamo non un campo disciplinare, ma un’attività critica attraverso cui costruire un destino comune e testimoniare il mondo, allora in Italia essa solo raramente è stata applicata all’analisi del cinema. Vengono in mente soprattutto i nomi di Maurizio Grande e di Pietro Montani, ma anche quello di un giovane studioso recentemente scomparso, Marco Dinoi.

A pochi mesi dalla morte del suo autore esce Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema (Le lettere, € 25, pag. 328), un’analisi sulle diverse funzioni che televisione e cinema hanno svolto nella costituzione di una memoria degli eventi dell’11 Settembre. Un libro che parte dalla consapevolezza che tutto l’armamentario concettuale messo in campo dagli epigoni di Baudrillard e soci è ormai inservibile. E’ forse da questa consapevolezza che nasce una scrittura di un’eticità potente, capace di stabilire ancora una differenza primaria tra ciò che vediamo e ciò che conosciamo.

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«Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema». Recensione di Simone Ghelli

Ci sono libri di cui vale la pena parlare, e altri di cui se ne farebbe volentieri a meno. Poi ci sono i libri di cui è necessario parlare. Sono quelli che aprono nuovi territori – vuoi per la novità delle tematiche trattate, vuoi per l’originalità dell’approccio proposto – e che invitano pertanto alla riflessione.
Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema di Marco Dinoi fa parte, per varie ragioni, di questa terza categoria.

Innanzitutto perché è un vero e proprio libro di teoria del cinema, di quelli che raramente si ha il dono d’incontrare, ma di una specie un po’ particolare, poiché non cerca di fondare un nuovo paradigma entro il quale rinchiudere l’oggetto del proprio studio. Le teorie sono già là, a portata di mano, a condizione di avere il coraggio e la volontà di farle proprie, di attuare uno sconfinamento di campo che ci sottragga dall’ingrato compito di difendere i propri ambiti disciplinari. Ci vuole soprattutto la voglia di ripartire dal cinema e dalla realtà, dalle prime e necessarie domande che la teoria non deve mai smettere di porsi, per poi arrivare alla domanda più attuale e necessaria: che ne è della realtà quando essa viene percepita sempre più spesso attraverso il filtro dell’immagine mediatica?

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