di Dimitri Chimenti, Massimiliano Coviello, Francesco Zucconi
L’occasione
Nell’aprile del 2008, sulle pagine della rivista telematica Carmilla on line, faceva la sua comparsa un breve saggio di teoria e critica letteraria: si trattava della prima versione dell’ormai celebre memorandum sul New Italian Epic scritto da Wu Ming 1. Da allora la discussione è cresciuta in modo esponenziale, suscitando un ampio dibattito in rete e sulla carta stampata, che sarebbe poi entrato a far parte dei topic di molti convegni internazionali di letteratura.
Dinanzi a tutto questo l’accademia italiana, almeno al suo livello più istituzionale, sembrava invece assumere un atteggiamento sospeso tra rifiuto totale e caute aperture. Non è questo il luogo più adatto per indagare i motivi di una tale accoglienza, né del resto ci interessa farlo, ma appare comunque indicativo che la prima istituzione (e per ora, forse, l’unica) ad aver ammesso le questioni sollevate dal memorandum all’interno di una programmazione didattica, non sia stata una facoltà di Lettere, ma un’accademia di belle arti: la NABA di Milano.
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IL DOCUMENTO IN SCENA.
di Giulia Maria Cristina Palladini
Ciò che intendo analizzare in questo articolo, sono alcune modalità legate alla messa in scena di eventi ed esistenti direttamente riconducibili al mondo storico. Mi riferisco in particolare a quei film che operano un montaggio narrativo di documenti e di materiale d’archivio, nel tentativo di stabilire una serie di connessioni capaci di ri-configurare la nostra concezione e percezione del campo del reale. Un buon esempio di questa attitudine è l’ultimo film di Marco Bellocchio, Vincere (2009).
La mia analisi si concentrerà su alcuni effetti di senso che i documenti e le immagini d’archivio esercitano sulla lettura delle vicende storiche rappresentate, su come essi si distribuiscano all’interno del testo filmico in rapporto al contesto e infine su come possano apportare effetti di “realismo” o, al contrario, dare un significato nuovo e diverso agli eventi narrati.
E’ necessario innanzitutto comprendere come la scelta di posizionare materiale d’archivio in un determinato punto della narrazione, non sia mai un intervento del tutto “innocente”, nel senso che il posizionamento degli elementi ne determina le possibilità di lettura. Anche lo spostamento di un unico elemento può stravolgere il senso di ciò che vediamo.
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LA DISCREZIONE DELLA VISIONE. IL LIMITE NEL CINEMA DI WERNER HERZOG.
di Lorenzo Montanari
“Quando giunsero ai limiti dell’atmosfera però l’aerostato diminuì la sua velocità,
ondeggiò e si fermò del tutto, equilibrato nel mare d’aria.
Fuori dell’atmosfera non si va – bisognerà accontentarsi di galleggiare.
E le speranze? E il sole? E l’indipendenza?
I discepoli guardarono il maestro con muta richiesta -”
(Carlo Michelstaedter, La persuasione e la retorica, Adelphi, Milano 1995, p.67)
Introduzione
Cosa deve mostrare un documentario? La realtà. Sì, la realtà, ma con dei limiti? Nell’epoca del tutto e subito ci sono zone che devono rimanere sconosciut all’occhio della cinepresa?
Per Werner Herzog queste domande divengono il limine su cui si muovono i suoi documentari. Sia in Grizzly Man (2005) che in The White Diamond (2004), per esempio, assistiamo alla messa in scena di uno stallo: in entrambi i film il regista decide di interdire la visione o l’ascolto di qualcosa, ponendosi egli stesso come filtro e garante nei confronti dello spettatore.
Herzog sa cosa si cela dietro alle imponenti cascate del Kaieteur (White Diamond), e ha ascoltato le registrazioni degli ultimi momenti di vita di Timothy Treadwell e della sua ragazza sbranati da un orso (Grizzly man), eppure decide di non mostrare, di non superare un limite oltre il quale la visione e l’ascolto scadono nella pornografia o nella spettacolarizzazione televisiva.
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L’ANAMNESI DI ALINA MARAZZI
di Giulia Ballone
“Le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne hanno.
Ricordare una cosa significa vederla, ora soltanto, per la prima
volta.”
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 1935/50 (postumo 1952)
Ogni giorno, ogni minuto è un divenire in ricordo. L’esperienza individuale permette la costruzione di ideologie e di valori diversi, e nel vivere quotidiano è inscritta la possibilità che una singola immagine, nota musicale o pagina scritta generino un percorso emotivo e psicologico unico. E la realtà che prende forma assieme al vissuto del soggetto, e la memoria gioca un ruolo fondamentale in questo processo: già Aristotele distingueva la memoria in mneme e anamnesi.
La mneme è il momento passivo, la massa d’informazione, qualcosa di fermo e statico come una traccia. In Un’ora sola ti vorrei il punto di partenza è esattamente questo, vale a dire quell’insieme di tracce formato dall’archivio familiare della regista. Un archivio che, oltre agli home movie e le foto con cui il nonno (Ulrico Hoepli) ha documentato maniacalmente la vita di famiglia, raccoglie anche i diari, i referti medici e la corrispondenza appartenuta alla madre, morta suicida in un ospedale psichiatrico.
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REDACTED: LA VERIDICITA’ DEL VEROSIMILE.
di Giorgia Benazzo
Premessa
In seguito alla pubblicazione del memorandum sul New Italian Epic1 del collettivo di scrittori Wu Ming, sono nate numerose discussioni – passate velocemente dalla rete ai convegni internazionali- attorno al concetto di “oggetto narrativo non identificato” e soprattutto sulla sua estensibilità a fenomeni di natura extra-letteraria. A ben vedere, è la stessa definizione offertaci da Wu Ming a contenere possibili indicazioni in questo senso.
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VINCERE, TRA VERITA’ STORICHE E BUCHI NERI DA RICOSTRUIRE.
Di Ludovica De Feo
Sin dalla scuola elementare, impariamo come il nostro paese sia depositario di una Storia “difficile e importante”. Un passato studiato sui libri e che nei libri, talvolta, sembra essere rimasto sigillato.
La catalogazione e l’archiviazione, per quanto ricche, sembrano sempre innescare un processo di museificazione, relegando la memoria in un passato lontano quanto inagibile. Qualcosa di importante da studiare, ma chissà poi perché.
Esiste però la possibilità di agirla questa memoria, di ricollegarla al presente coprendo le tappe che separano ciò che è stato da ciò che è. Questo è il lavoro di rammemorazione, un processo che da un passato impoverito di particolari e sfumato nei contorni ricava un campo del “forse”, ne fa cioè qualcosa capace di assumere nuovi significati e produrre un reale possibile.
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