RACCONTAMI DI MARCO
In queste pagine ci proponiamo di tracciare un profilo della vita e dei percorsi professionali di Marco Dinoi. Per fare ciò ci appoggeremo alle parole “appassionate” usate da Stefano Jacoviello nella Prefazione al libro “Lo sguardo e l’evento”, che descrivono con grande attenzione i passaggi fondamentali che hanno caratterizzato la vita, l’opera e la ricerca di Marco.
Fin dall’inizio della sua carriera studentesca a Siena l’impegno civile e il desiderio di un confronto intellettuale “in divenire” si manifestano e prendono corpo nella “nascita” del Laboratorio Universitario Cinematografico (L.U.C.), che a partire dalla metà degli anni ’90 raccolse spontaneamente molti di coloro che per vie diverse giungevano ad interessarsi delle immagini in movimento. All’ombra della cattedra di Maurizio Grande, nei locali della Videoteca di lettere, si aprì uno spazio di confronto inedito per gli studenti dell’università senese. In quegli anni le aperture serali della Facoltà di Lettere e Filosofia raggiunsero un regime di continuità per la proiezione autogestita di cicli di film intorno a cui ci si trovava a vivere. Con le iniziative liberamente programmate la Sala Cinema della Facoltà acquisì definitivamente il ruolo di cantiere di riflessione laico sul patrimonio cinematografico.
In quelle stanze si intrecciarono i pensieri raccolti insieme a Vincenzo Cascone nel libro La statua e il giocattolo (1996) Maurizio Grande. Tracce di un pensero su cinema e teatro.
Al docente, prematuramente scomparso in un incidente stradale, furono dedicati due giornate di studio di cui il volume citato ne tramanda gli atti.
E ancora in quelle stanze, affascinati dal potere di liberazione dello sguardo che poteva celarsi dietro i nuovi mezzi di ripresa in digitale, Marco e il gruppo del L.U.C. organizzarono un seminario-laboratorio con il regista indipendente Jon Jost, perché il cinema potesse diventare da subito esperienza-di-mondo.
Non è casuale, in quasto senso, la realizzazione di un manuale per la Dino Audino editore Girare in digitale (2000), che proprio a partire dalla diffusione della nuova tecnologia digitale, affrontava uno dei movimenti più provocatori del cinema: Dogma 95.
L’esigenza di liberare lo sguardo ha retto sostanzialmente anche la sua attività di fotografo, per cui spingeva l’obiettivo ad esplorare quel che resta della visione di Londra, New York, Ramallah, del Lido di Venezia, o ad indagare i riflessi che vibrano sul coperchio di un pianoforte, o ancora ritrarre le persone di cui in qualche modo aveva incrociato lo sguardo.
Marco ha lasciato che lo sguardo errabondo della cinepresa esplorasse, rinnovandoli, gli «spazi narcotizzanti» delle architetture senesi in Rumori d’assenze (1998), primo suo cortometraggio in pellicola, ormai smarrito, frutto di un intenso lavoro collettivo, testimonianza riflessa della sua esperienza londinese.
Negli ultimi anni di corso universitario l’amore particolare per il cinema di Marker, Reitz, Antonioni, Petri, Kubrick, Kitano, Herzog, Tarkovskij, e l’attrazione ereditata da Grande per il teatro di Carmelo Bene, hanno fecondato la sua curiosità filosofica spingendolo lungo i temi delle figure del tempo e della costruzione della memoria, del discorso e della narrazione, portandolo ad attraversare in profondità le grandi opere di Deleuze, Ricoeur, Foucault, che costituiranno i cardini di ogni suo pensiero futuro. A cominciare dalla tesi di laurea dedicata al ciclo epico contemporaneo di Die Zweite Heimat – Die Chronik einer Jugend (1993), incrociando e confondendo spesso il suo sguardo con quello erratico di Hermann Simon per le strade di Monaco di Baviera.
Riflessione sul tempo, della narrazione e della Storia, che sfocia in un cortometraggio “Time Lapse” (2004) realizzato ancora una volta in quel di Siena, in cui Marco sembra indugiare sui paradossi cronologici dell’agire.
La vastità esplosiva dei riferimenti teorici che appaiono nei suoi saggi non deve però mai ingannare sui principi della sua condotta analitica: è sempre dall’immagine che parte la sua riflessione teoretica, per poi estendersi alla teoria e tornare ad altri campi dell’espressione artistica. Marker, Deleuze, Camus, sceneggiature e soggetti e e poi di nuovo alle immagini con il suo Rosso di Sera (2005), uno degli ultimi cortometraggi realizzati.
Trasferitosi a Roma per stabilire contatti con il mondo che ruota intorno alle produzioni
cinematografiche, Marco ha lavorato come script analyst per la Miramax e ha dato il via ad una piccola società di produzione, Extempora, con Vincenzo Cascone e Leonardo Rigon. Tutti i rapporti personali costruiti e le conoscenze acquisite nelle frequentazioni romane saranno poi generosamente riversati a favore dei suoi studenti con “I mestieri del cinema”, seminari organizzati una volta tornato da docente all’Università degli Studi di Siena.
Nel 2001 Guglielmo Moneti, titolare della cattedra di cinema, lo ha richiamato a Siena per insegnare “Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico” e “Metodologie della critica cinematografica”, prima con un contratto, e poi da assegnista di ricerca. L’indagine sulle condizioni per liberare lo sguardo restava ancora il fiume sotterraneo che percorreva ogni sua scommessa didattica: vere e proprie avventure in cui gli studenti potevano percepire direttamente il rischio fecondo del ragionamento, seguendolo nel tentativo di trovare risposte solide, ma sempre lucidamente provvisorie ai quesiti posti dalle immagini.
Con il ritorno a Siena da docente, Marco si assume quindi l’impegno gravoso ma inevitabile di tornare nei luoghi e nei ruoli di chi, avendo segnato in un certo senso il suo destino, restava il suo punto di riferimento intellettuale. Conservando nell’intimità del suo cuore la consapevolezza di non poter riuscire a riparare anche solo una piccola parte dello spazio incolmabile lasciato vuoto da Maurizio Grande, Marco ha colto come un dono l’occasione di potersi dedicare ancora più efficacemente nel tenere in vita e rendere ancora fertile il pensiero del maestro scomparso, ponendolo continuamente al centro della discussione, facendo in modo che i suoi allievi potessero acquisirne le tensioni per portarle su nuovi oggetti di riflessione. Fino all’ultimo atto, nel maggio
del 2008: una giornata di studi su “Lo spazio del reale nel cinema italiano contemporaneo”, organizzata autonomamente dai suoi stessi studenti così come dieci anni prima aveva fatto lui insieme a altri colleghi all’indomani della scomparsa di Grande.
Marco ha partecipato a quel convegno con un intervento su Buongiorno, notte (2003), In questo intervento, la cui registrazione audio è consultabile sul sito web dell’associazione LevelFive, la profondità della sua riflessione critica e teorica trova finalmente lo spazio per apparire nella sua feconda complessità.
Il principio del poter agire al di là e al di qua della superficie dello schermo attraverso lo sguardo cinematografico, il poter tornare a partecipare al mondo attraverso la visione, sembra aver guidato apertamente tutte le ultime operazioni di Marco sul versante creativo.
Dalla consapevolezza di questa conquista finalmente acquisita viene forse la svolta notevole rispetto agli esperimenti cinematografici del passato, e il raggiungimento di una maggiore serenità interiore, derivante forse dalla coscienza di star facendo finalmente la cosa giusta.
La tensione teorica e l’urgenza artistica si sono così date la mano nel segno della partecipazione politica. In questo senso va ancora l’ultimo atto di Marco: il sostegno a Mohammad Bakri, attore e regista israelo-palestinese accusato di falsa testimonianza da cinque soldati israeliani che hanno partecipato alle operazioni nel campo di Jenin nell’aprile 2002, proprio perché con le sue riprese è riuscito ad agire nei termini di un ritorno a partecipare al mondo – motivo per cui il suo atto artistico deve essere neutralizzato riducendolo alla bugia che “normalmente” costituisce le immagini cinematografiche.
Marco aveva incrociato per la prima volta lo sguardo di Bakri attraverso le immagini di Private (2004). Di fronte a quelle immagini emerse probabilmente anche l’interesse per la questione palestinese, che negli ultimi mesi sembrava divenuta la sua fondamentale ragione di vita, l’orizzonte dei progetti, il luogo dove ritrovarsi in quanto uomini.
L’impegno civile per la condizione palestinese ha dato luogo subito dopo al sostegno all’attività del musicista Ramzi Aburedwan – conosciuto attraverso l’antropologo Nicola Perugini – e della sua associazione “Al-Kamandjati”, che si occupa di insegnare musica ai bambini dei campi profughi palestinesi. Anche l’attività di Ramzi era stata documentata da un film, It’s not a gun (diretto da Pierre-Nicolas Durand e Hélèna Cotinier, 2006), che a sua volta Marco usava per esplorare la differenza fra un fucile e un violino, e riflettere su come una videocamera avrebbe potuto continuare a indagarla estendendo lo sguardo al suo intorno.
Da qui l’organizzazione di concerti e incontri con Ramzi, fino all’idea di uno spettacolo teatrale intitolato proprio Al-Kamandjati, che avrebbe riunito sul palco dell’Auditorium di Roma il gruppo musicale Dal’Ouna capeggiato dal violinista palestinese, Bakri, Moni Ovadia e la giornalista israeliana Amira Hass. Le loro parole avrebbero fatto da contrappunto alle immagini che, al fianco di Nicola, avrebbe girato in Palestina con Giacomo Tagliani, e montato con Francesco Zucconi e Riccardo Guerrini, tutti allievi dei suoi corsi senesi.
Una volta giunto fra gli ulivi, che non potevano non ricordargli le chiome ombrose della sua Puglia assolata, Marco si è reso conto fin da subito che ciò che avrebbe realizzato sarebbe stato un insieme di appunti per un film da fare.
Oltre che appunti su un film da fare, gli Itinerari nel lessico palestinese, risultanti da quella prima ed unica esplorazione in Medio Oriente, sono anche le tracce di una visione da compiere, un’immagine da comporre che possa costituire una memoria dei fatti e dei luoghi.
Marco ci ha lasciato mentre correggeva le bozze de “Lo sguardo e l’evento. I media. La memoria. Il cinema”. Estrema ed ulteriore apertura della sua riflessione sul cinema e sull’immaginario odierno, testimonianza di una presa di posizione netta contro l’odierno spaesamento spettatoriale.
Queste le tracce “dense e appassionate” della sua esistenza, dalla concezione dell’insegnamento universitario come funzione civile irrinunciabile fino al suo continuo attivarsi per creare al di fuori dell’università altri luoghi di confronto civile, compresa la scena teatrale e il cinema, dove le energie intellettuali potessero convergere per trasformarsi in azione.
Alcune tappe della sua esperienza professionale
Novembre – Dicembre 2007
Regia video per lo spettacolo “Al Kamandjati (il violinista)”, Fondazione musica per Roma
Anno accademico 2001-02 ad oggi
Professore a contratto presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Siena
Insegnamenti:
– Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico
– Metodologie della critica cinematografica
Dicembre 2000 – settembre 2001
Miramax (Roma) – Script Analyst
Dicembre 2000
Istituto “La Lanterna Magica” – L’Aquila
Organizzazione del forum su “Il Cinema Digitale” in occasione delle XXVII Giornate Internazionali del Cinema.
Aprile 1999
Università degli Studi di Siena
Realizzazione di un seminario di antropologia visiva su “La città dislocata. Immagini urbane tra cinema e architettura”.
20 – 21 novembre 1997
Università degli Studi di Siena
Organizzazione del convegno “Maurizio Grande. Tracce di un pensiero su cinema e teatro”.
Formazione
Giugno 1998
Università degli Studi di Siena
Laurea in Scienze della comunicazione – indirizzo comunicazione di massa.
A.A. 1995-96
Royal Holloway University of London
Borsa di studio Erasmus di un anno per frequentare i corsi del Media Department.
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